Cosa c'è dietro l'attacco israeliano all'Iran
Il paese ribelle e incontrollabile sciita è sempre stato una spina nel fianco per gli americani e per gli israeliani, e per i loro interessi.
Ieri Israele ha attaccato l’Iran, danneggiando diversi siti nucleari (Natanz, Arak e Isfahan) e colpendo diverse strutture di comando. Un attacco che era nell’aria da tempo, effettuato per rallentare il programma nucleare iraniano, dopo che l’IAEA aveva affermato che l’Iran stava aumentando le scorte di uranio arricchito del 60% (necessario per costruirsi una bomba atomica). Dunque un attacco preventivo che, in parte, non può che essere inquadrato nel contesto del tentativo israeliano di proseguire indisturbato la propria “operazione” a Gaza, impedendo che altri paesi del Medioriente possano costituire un ostacolo e una minaccia alla sua esistenza e al suo obiettivo.
Ma non è solo questo. Il programma nucleare iraniano non è mai piaciuto (sì ci sono stati vari tentativi negoziali, ma tutti puntualmente falliti), perché il solo possesso di bombe nucleari renderebbe l’Iran un paese inattaccabile (come lo è la Corea del Nord), e sappiamo ormai da tempo che l’Occidente, guidato dagli USA, sogna una Persia prona e controllata, incapace di opporsi sia a Israele e sia agli interessi geostratetigici degli americani, soprattutto in chiave anti-russa e anti-cinese.
Geostrategia ed energia, naturalmente. Le risorse petrolifere iraniane sono estremamente importanti e fanno gola, e l’idea che siano i rivoluzionari sciiti iraniani a controllarle non è una cosa che aggrada per via dell’ostilità che i figlioletti di Khomeini hanno nei confronti degli americani e degli inglesi. Inoltre l’Iran controlla lo stretto di Hormuz, una delle arterie principali del traffico petrolifero, sicché la storiella secondo la quale gli USA e l’Occidente contrastino l’Iran perché non c’è la democrazia a Teheran, è appunto quella che è, una storiella. Del resto, s’è visto con la Siria. Prima con Assad, la Siria era uno Stato laico, parecchio tollerante nei confronti delle minoranze cristiane, eppure americani e turchi hanno fatto di tutto per abbattere il suo regime (alleato dei russi). Ora in Siria abbiamo un regime islamico oscurantista, ma nessuno in Occidente si straccia le vesti per questo.
Ma la Siria e prima l’Iraq (e mettiamoci anche la Libia) erano solo una tappa geostrategica per arrivare all’Iran per mezzo di Israele. L’obiettivo è sempre stata Teheran. Quel paese ribelle e incontrollabile è sempre stato una spina nel fianco per gli americani e per gli israeliani, e per i loro interessi. E diciamocela tutta, lo è sempre stato anche per altri paesi del Medioriente, come l’Arabia Saudita e la Turchia, che non hanno mai nascosto le loro ambizioni di egemonia sull’area.
Dunque, non deve sorprendere l’attacco di ieri così come non dovevano sorprendere quelli precedenti del 2024. Parlare perciò di difesa degli ideali democratici in Iran è solo una banale scusa per suggestionare l’opinione pubblica occidentale. Le motivazioni che spingono l’Occidente ad agire, e in particolare gli USA, sono sempre geopolitiche e geoeconomiche. L’Iran fa parte dei BRICS, l’Iran è alleata dei russi, l’Iran è alleata della Cina. L’Iran è uno dei maggiori fornitori di droni ai russi. L’Iran è uno dei maggiori avversari degli israeliani. Abbattere il regime iraniano, elimina un player regionale fortemente oppositivo nei confronti di Israele, ed elimina uno dei più importanti alleati dell’asse sino-russo nella regione.
Per farla breve, un Iran debole o controllato dall’Occidente, impedirebbe o ritarderebbe la nascita del mondo multipolare, rinvigorendo pari tempo la centralità dell’Occidente e l’imperialismo anglo-americano (quello del quale molti paesi, soprattutto del sud del mondo, vorrebbero liberarsi). In questi termini, ne uscirebbe rafforzato quello unipolare che abbiamo vissuto negli ultimi trentacinque anni e che ha visto il dominio del neoliberismo con i suoi codazzi ideologici: green, transumanesimo, maltusianesimo, gender e, sul lato economico, il modello di austerità competitiva che ha piegato le economie di molti paesi occidentali, compreso il nostro (anzi, soprattutto il nostro).
Ma se qualcuno, nonostante ciò, pensi che io stia tifando per una teocrazia integralista, non ha capito nulla. Qui non si tratta di tifare per un regime islamico (e in realtà ce ne sarebbe da dire su quell’altro, considerato artatamente l’unica democrazia in Medioriente), semplicemente perché non è una partita di calcio (e molti invece credono sia proprio la finale della coppa del mondo “Iran vs. Israele”, se non addirittura la battaglia dei supereroi Marvel contro il villain di turno). Si tratta di comprendere che la sconfitta dell'Iran, qualora avvenisse, non potrà non avere pesanti (e ancora del tutto ignote) ripercussioni sulla stabilità del Medioriente e del mondo intero, già pericolosamente in bilico a causa della guerra in Ucraina.